La Francia in Costa d’Avorio: guerra e neocolonialismo

Pubblico qui la prefazione del libro di Tony Akmel La Francia in Costa d’Avorio: guerra e neocolonialismo grazie all'autore per il permesso

 

 

Non credo che il signor Alassane Ouattara (appoggiato dall’ex ribellione armata) sia il Presidente eletto della Costa d’Avorio, perché sarebbe stato necessario che la sua vittoria fosse riconosciuta dalla Corte costituzionale ivoriana, cosa che non è stata. Nessuna commissione elettorale, per quanto autorevole possa essere, può proclamare il vincitore delle elezioni, in particolare nel caso della Costa d’Avorio dove la commissione in questione (creata appositamente per la circostanza) è composta per due terzi da membri dell’opposizione al Presidente uscente Laurent Gbagbo. Per correttezza democratica, qualsiasi commissione elettorale dovrebbe essere composta in modo paritetico tra le parti che si sfidano.
Se la Commissione elettorale, con l’avallo della Francia, ha proclamato Ouattara vincitore, la Corte costituzionale ha, da parte sua, dichiarato vincitore Gbagbo. Si potrà sostenere che il presidente della Corte costituzionale è un uomo del Presidente Gbagbo, ma è così in tutti i paesi del mondo ed anche in Francia. Tutti ricordiamo il caso degli Stati Uniti in cui si sfidavano  Al Gore e  George W. Bush. La Corte Suprema degli Stati Uniti (l’equivalente della Corte costituzionale ivoriana) ha proclamato vincitore Bush, anche se aveva ottenuto meno voti del suo avversario. In quel caso mi sembra di non aver sentito le grida di indignazione dei democratici di tutto il mondo. Né l’Onu batté ciglio nel condannare questa “usurpazione di potere”. Torniamo alla Costa d’Avorio: nella parte nord del Paese, fedele ad Alassana Ouattara, feudo della ribellione armata, tutti pensavamo che questi saccheggiatori avessero deposto le armi. Invece no. Laurent Gbagbo, per poter permettere questa consultazione elettorale, ha fatto la sua parte, in seguito agli accordi stabiliti a Linas-Marcoussis, affidando degli incarichi ministeriali ai ribelli ed arrivando addirittura a nominare come Primo ministro il portavoce della ribellione (Guillaume Soro). Questi aggressori  invece non hanno rispettato i sopracitati accordi che prevedono il loro disarmo. In effetti, durante il secondo turno delle elezioni presidenziali, se nel sud del Paese, dove lo stato funziona regolarmente, tutti i cittadini (sostenitori di entrambi i candidati) hanno potuto votare pacificamente, nella parte nord i ribelli fedeli a Ouattara hanno malmenato tutti quelli che avrebbero potuto esprimere il loro voto a favore di Gbagbo. Non solo:  le urne, prima ancora dell’apertura dei seggi, furono riempite di schede di Ouattara al punto che durante lo spoglio le sue schede estratte superavano di gran lunga il numero degli iscritti nelle liste! Davanti a queste anomalie, il presidente della Corte Costituzionale ha giustamente annullato i risultati in tre di queste regioni. Pertanto, in seguito a questo esito elettorale, Ouattara ottiene la maggioranza in queste regioni (e in questo caso la decisione della Commissione elettorale potrebbe anche essere giusta). Invece, annullando il voto per le irregolarità sopra denunciate, Gbagbo è il vincitore. Perciò si pone la domanda:  è corretto considerare validi i risultati di alcuni seggi quando vengono a galla dei brogli?

Non credo che il presidente francese Nicolas Sarkozy ami l’Africa e le sue popolazioni tanto da vigilare sulla democratizzazione e il benessere di quel continente. Non ho dimenticato il suo discorso di Dakar. Ricordo ancora le elezioni in Gabon. Non è stato forse il primo a congratularsi con Ali Bongo, subentrato al proprio padre dopo quarantadue anni di regno? Perché si è congratulato, mentre l’opposizione contestava la “vittoria” di Bongo con in mano le prove dei brogli elettorali? Tengo a sottolineare che il documentario denominato “Françafrique” ha chiaramente dimostrato gli inganni, i brogli e le migliaia di intrallazzi che la Francia attua per posizionare e mantenere al potere alcuni despoti devoti anima e corpo alla patria della “grandeur”.

Non credo nelle Nazioni Unite, il cui Consiglio di Sicurezza è un club di Stati ricchi dove  nessun Paese africano ha un posto; non credo che l’Unione africana possa essere libera di dire ciò che vuole, dal momento che è finanziata dall’Unione Europea. Non credo che i leader africani sostengano attivamente Alassane Ouattara perché non ho visto a tutt’oggi un capo di Stato del continente congratularsi con il presidente designato dalla comunità internazionale. Ma chi si nasconde dietro a questa zona grigia? Potrebbero essere le stesse persone che fingono di non sapere mentre vengono bombardati l’Iraq o l’Afghanistan? Non credo ci sia la preoccupazione per il cambiamento democratico che alcuni Paesi sostengono. Quanti capi di stato hanno modificato la costituzione del loro paese per farsi eleggere per l’ennesima volta? Quanti di loro occupano la carica di Presidente per venti o trenta anni? Perché la cosiddetta comunità internazionale non li condanna? E la Francia cosa ne dice? Niente. Silenzio! Si sfrutta!

Credo che Laurent Gbagbo (ammiratore del suo omonimo rinascimentale Lorenzo il Magnifico) sia il grande difensore della sovranità nazionale e che le sue posizioni intransigenti gli abbiano procurato l’inimicizia della Francia. E’ un dato di fatto appurato e palpabile, confermato inoltre in questi giorni dal documentario francese ” La Françafrique “. Ricordiamo il coinvolgimento della Francia nel colpo di stato contro Gbagbo nel 2002 (fortunatamente fallito, anche se i ribelli riescono ancor oggi a controllare il nord del paese), ed i molteplici complotti che ne seguirono.
Molti panafricanisti credono in una cospirazione contro la Costa d’Avorio. Per esserne convinti, basta guardare le due manifestazioni di protesta organizzate a Parigi per sostenere la sovranità di questo Stato africano, che hanno riunito quasi cinquemila persone  in una fredda giornata d’inverno. Così Gbagbo non è solo. Egli ha con sé il popolo africano.
Credo che  nel passato la Francia e i suoi accoliti abbiano organizzato golpe armati per spodestare i leader africani che non soddisfacevano i loro criteri di selezione. Credo che il modo per togliere di mezzo i leader indesiderati si sia evoluto e sia diventato più sofisticato. Oggi è subentrato il concetto di “colpo di stato elettorale”.  E se il Presidente Gbagbo ne fosse una vittima?
Credo che la strategia geopolitica internazionale voglia che il Golfo di Guinea sia totalmente sotto il controllo occidentale. L’esaurimento dei pozzi di petrolio nel Golfo Persico e la resistenza armata in quelle regioni spinge  l’Europa ad accentuare la propria presenza in Africa. Per il suo petrolio, per le sue materie prime, per le sue innumerevoli ricchezze, e, non ultimo, per la sua capacità di sottomissione.
Credo che tutti i paesi del Golfo di Guinea subiranno la stessa sorte della Costa d’Avorio in un futuro più o meno lontano.
Alassane Ouatara è per gli occidentali l’uomo di fiducia per raggiungere tali obiettivi. Occorre fargli indossare l’abito di presidente della Costa d’Avorio e a tal fine sono pronti a tutto, anche in virtù dell’amicizia personale che Ouattara ha con Sarkozy e con diversi industriali francesi.

Credo inoltre che Gbagbo e il popolo ivoriano si batteranno fino alla fine. E ciò spiega la mancanza di entusiasmo suscitata dalla richiesta di mobilitazione popolare da parte di Alassane Ouatara, per ottenere l’allontanamento del presidente uscente. Come sosteneva la rivista «Nigrizia» dei missionari Comboniani (dicembre 2004), “Gbagbo è apparso più di qualsiasi altro suo predecessore sinceramente preoccupato del bene del suo Paese e dei circa 16 milioni di abitanti”.
Credo che Laurent Gbagbo si batterà fino alla fine perché è colui che ha lottato affinché il multipartitismo sia accettato in Costa d’Avorio, in una realtà dove per trenta anni (dal 1960, anno dell’indipendenza, fino al 1990), il “dittatore illuminato”, il primo Presidente Felix Houphouet-Boigny, ha governato escludendo con ogni mezzo tutti i suoi avversari. Gbagbo è colui che si è battuto per la democrazia al punto di finire tre volte in carcere (due volte su ordine di Houphouet Boigny e una volta su ordine dello stesso Alassane Ouattara, all’epoca Primo ministro di Houphouet).  La lotta politica di Gbagbo per la democrazia lo ha costretto all’esilio in Francia dal 1982 al 1988 (con la relativa perdita della propria cattedra di docente universitario in storia), dove elaborò insieme ad alcuni amici socialisti mitterandiani, tra cui Guy Labertit ed Henri Emmanuelli, il suo programma di governo: la Réfondation prevedeva la scuola gratuita  (nel 2001 i manuali scolastici furono distribuiti ai bambini della prima elementare, nel 2002 anche a quelli della seconda elementare; il provvedimento fu sospeso in quanto queste risorse finanziarie furono destinate ad armare l’esercito per fronteggiare la ribellione armata del settembre 2002) e l’assistenza sanitaria di base. Al fine di ottenere risorse e realizzare gli obiettivi del suo piano di governo, Gbagbo ha istituito delle gare d’appalto in un mercato dove i grandi lavori e le concessioni per l’estrazione del gas e del petrolio erano riservati esclusivamente alle multinazionali e alle aziende francesi; l’esempio lampante è stato il progetto per il terzo ponte, la cui costruzione è stata rinviata (a causa della ribellione armata del settembre del 2002), mentre i cinesi erano pronti a realizzarlo ad un terzo della spesa prevista dagli appaltatori francesi. Mi permetto di citare Aldo Forbice («Quotidiano Nazionale» 18.11.2004) “Chirac ha sempre avversato il dispotico e infedele Laurent, che aveva osato mettere in discussione gli interessi francesi aprendo gli appalti pubblici di importanti infrastrutture anche ad americani, cinesi e giapponesi”.

E come dice «Nigrizia»: “questo modo di muoversi non poteva piacere ai gruppi economici francesi, che hanno sempre fatto il loro comodo in Costa d’Avorio”.

Nel 2000, Gbagbo, appena eletto, dichiarava: “Noi africani dobbiamo imparare ad essere più indipendenti”. Ovviamente dalla Francia. Da quando è diventato presidente, la Francia ha incominciato a preoccuparsi; lui dette il primo schiaffo a Parigi all’indomani della sua elezione, nel 2000. “Il Presidente francese dell’epoca (Jacques Chirac) lo aspettava all’Eliseo per farsi baciare l’anello, ma lui si recò in Italia” racconta un medico inglese che lavorava per una organizzazione non governativa (estratto dall’articolo di Pietro Del Re, «La Repubblica» 06.12.2004).

L’istituzione di gare d’appalto, a ben vedere, ha danneggiato l’economia francese. Evidentemente ogni multinazionale ha paura di perdere un mercato così appetibile come quello della Costa d’Avorio che, oltre alle sue risorse naturali quali greggio, gas naturale, diamanti, manganese, ferro, cobalto, bauxite, rame, ed energia idroelettrica, ha anche risorse agricole come caffé, banane, noci di cocco, mais, riso, zucchero, cotone, gomma, legname, ananas e olio di palma. Inoltre, la Costa d’Avorio è il primo produttore di cacao al mondo e questa produzione rende alla Francia, ogni anno, due miliardi e mezzo di euro. Da non sottovalutare la sua posizione geografica strategica, con il sud del paese che si affaccia sull’oceano Atlantico e che ha nel porto di Abidjan uno degli scali più importanti dell’Africa.

Laurent Gbagbo si batterà perché è colui che ha osato dire al suo popolo che, per quaranta anni (dal1960, data dell’indipendenza, al 2000, anno della sua elezione a Presidente), “lo Stato ivoriano ha pagato per i locali della dell’Assemblea nazionale con sede a Abidjan un affitto alla Francia”.

Sì, Laurent Gbagbo e gli ivoriani si batteranno perché non accettano più l’ingerenza straniera negli affari di uno stato sovrano.

Appassionato di economia, io rimasi colpito dalla eloquenza di Ouattara durante la  presentazione del suo programma di austerità e di risanamento (1990-1993) per risolvere la situazione difficile che attraversava la Costa d’Avorio. Houphouet Boigny, in seguito alle pressioni della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale lo chiamò, mentre ancora occupava il posto di vice direttore del fondo sopracitato e dopo aver diretto la Banca Centrale degli Stati dell’Africa dell’Ovest (BCEAO), a ricoprire la carica di Presidente del consiglio. Egli riuscì a far capire sia agli esperti sia alla popolazione, in modo semplice ed eloquente, i benefici che il suo piano avrebbe portato. I due grandi punti del programma erano da una parte la riduzione delle spese delle stato e dall’altra le privatizzazioni. Rispetto al primo punto Ouattara fece bene limitando gli sprechi,  ma senza tagliare il budget di settori come la sanità e la scuola, ad esempio vietando l’impiego delle automobili di servizio (le famose auto blu italiane!) e di personale di scorta delle autorità dopo le ore lavorative e durante i giorni festivi. Meno convincente a mio parere è invece il secondo punto del suo programma, le privatizzazioni, che andavano a toccare settori chiave dell’economia, quali l’acqua, l’energia elettrica, ecc., in quanto l’attuazione non si è svolta con gare al maggior offerente, ma attraverso vere e proprie cessioni ad aziende francesi che si sono sempre intromesse nelle questioni politiche ed economiche della Costa d’Avorio.

Infine lancio un appello alla CEDEAO (Comunità Economica dell’Africa dell’Ovest), di cui la Costa d’Avorio è il maggiore finanziatore, di non provare a cacciare con la violenza Gbagbo: potrebbe nascere un conflitto interno alla Costa d’Avorio, ma anche esterno, con ripercussioni inimmaginabili. In effetti, questo Stato africano è la nazione che ha  in assoluto il più alto numero di stranieri, stimati in più del 25%  della popolazione ivoriana che attualmente è valutata in circa 20 milioni. Questo dato pone la Costa d’Avorio davanti a Francia e Stati Uniti d’America e non credo che gli ivoriani assisterebbero alla disfatta del loro governo da parte dei dirigenti degli stati vicini senza prendersela con le rispettive popolazioni che vivono nel Paese dove erano arrivati per lavorare soprattutto nel settore agricolo, quando negli anni sessanta e settanta ci fu il famoso boom economico chiamato miracolo ivoriano.

La Costa d’Avorio è terra di accoglienza per tutti e citerei alcune delle popolazioni straniere che ci vivono: tre milioni dal Burkina Faso, forti comunità dal Mali, dalla Guinea, dalla Nigeria, dal Senegal, la più numerosa comunità di cittadini francesi in Africa, un’intera generazione di libanesi con la cittadinanza ivoriana (ai quali fu concesso asilo dopo il primo conflitto nel Libano 1982) ecc. Per questo essa non merita di essere bombardata dai presidenti africani ...

Questa consultazione elettorale, il cui primo turno è avvenuto il 31 ottobre ed il secondo il 28 novembre 2010,  doveva porre fine ad una situazione che dura da otto anni (dopo il colpo di stato di settembre 2002, che ha diviso il Paese in due) invece, non ha permesso di uscire dal vicolo cieco. In data odierna (8 marzo 2011) la nazione dispone di due presidenti: il primo, Laurent Ggagbo riconosciuto dalla Corte costituzionale e da diverse associazioni di intellettuali africani che non accettano l’ingerenza delle potenze occidentali nella politica e nelle scelte dei Paesi africani e il secondo, Alassane Ouattara riconosciuto dalla Commissione elettorale indipendente e dalla comunità internazionale (capeggiata dalla Francia).

Per essere informato degli ultimi articoli, iscriviti: